
Rapportarsi a qualcuno in termini di “funzionamento” rimanda a un’idea meccanica dei processi in gioco nella relazione e nella persona stessa. I problemi che possono insorgere in conseguenza di ciò sono svariati e riguardano sia i criteri che vengono utilizzati per decidere quale sia il “funzionamento alto” e il “funzionamento basso”, sia l’implicita discriminazione in termini di valore che può derivare dal pensare che una persona funzioni bene o male.
Essere e funzionare sono due dimensioni che veicolano significati molto diversi e sarebbe importante cominciare a tenerne conto.
Partire da un presupposto di funzionamento significa immaginare la persona come più o meno deficitaria e rende più probabile l’instaurarsi di una relazione orientata alla riparazione di quei deficit. Tali deficit sono solitamente definiti e identificati da una persona non autistica, che considera il proprio punto di vista come il funzionamento ottimale a cui aspirare e identifica il “basso funzionamento” in base a quanto l’altra persona si discosta da questa norma.
Relazionarsi a qualcuno immaginando che funzioni meglio o peggio di qualcun altro orienta inoltre implicitamente l’intervento nella direzione di migliorare le prestazioni della persona, intervenendo su di essa per renderla più adatta all’ambiente.
Ciò ha due implicazioni principali: la prima è che a migliore prestazione non corrisponde necessariamente un maggiore benessere; la seconda è che lo sguardo di chi effettua l’intervento andrà nella direzione di rendere la persona “più adatta”, trascurando di interrogarsi su altri fattori che potrebbero impattare sul suo benessere, primo fra tutti la qualità dell’ambiente stesso.

Le persone autistiche sono tutte diverse: alcune di loro hanno delle compromissioni cognitive, altre no; alcune di loro hanno bisogno di supporto per essere pienamente autonome, altre riescono a portare avanti la loro vita senza bisogno di sostegno; alcune si esprimono verbalmente, altre utilizzano canali comunicativi diversi da quello verbale, ma guardarle in termini di funzionamento è fuorviante e discriminatorio.
Le nostre possibilità di stare bene nel mondo dipendono da molti fattori che l’etichetta del funzionamento trascura. L’etichetta “alto funzionamento” rischia di rendere invisibili e sottostimate le difficoltà delle persone autistiche verbali e senza compromissioni cognitive, facendo scomparire tutta la fatica che esse sentono di dover fare quotidianamente per vivere in un mondo che non tiene conto delle loro peculiarità, determinando ansia, depressione e aumento del rischio suicidario. Di contro, l’etichetta del “basso funzionamento” rischia di azzerare il potenziale delle persone autistiche non verbali e/o con compromissioni cognitive, riducendole a “comportamenti problema” da risolvere, aumentando il rischio di negligenza e abuso in chi si prende cura di loro.

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