“In genere consideriamo la felicità un sentimento la cui durata appare troppo breve. Non siamo noi a raggiungerla, è lei ad afferrarci. Noi diciamo che: “la felicità è breve”, perché la guardiamo nel momento stesso in cui siamo caduti dall’attimo. Ma nell’attimo, nel momento in cui l’uomo si sente felice, esso prova felicità proprio perché il tempo svanisce. E resta nella memoria alla stregua di una pienezza che precede la perdita.
Questo sentimento corrisponde a ciò che i Greci chiamavano «eutychìa»: il «buon accadimento», la sorte benevola. Vi era però anche un’altra espressione, «eudaimonìa», che significava «un demone che opera a tuo vantaggio». Socrate afferma che il demone è dentro di noi: “eudaimonia” vuol dire che l’uomo può produrre da sé la propria felicità. La “tyke” la fa dipendere dalle occasioni esterne; col “daimon” l’uomo stesso crea le giuste relazioni perché la felicità appaia, lavora sul mondo per renderlo favorevole. È in tale orientamento che la felicità può mutarsi in una condizione stabile.
Ecco voi vedete lì una madia con del lievito. Questo è un modo in cui, abitualmente, la felicità non viene mai pensata. La felicità è pensate sempre nei termini dell’attimo, dell’ascesa. Invece la felicità possiede la caratteristica tipica del lievito, e può lievitare per intero la nostra vita. La virtù lievita la vita, la fa crescere costantemente dal di dentro, la matura. Non è nel vertice della crescita che si raggiunge la felicità bensì nel continuo della vita. In questo senso la virtù è matrice di felicità, nello stesso senso in cui il lievito fa crescere la pasta, perché felice, in senso stretto, può esserlo solo una vita intera. E in una vita intera gioie e dolori possono essere funzionali alla crescita. Questa è la dimensione più profonda e più alta della felicità.
La felicità non risiede nelle cose ma nelle relazioni: bisogna stare nel mondo, nel rischio, valorizzando noi stessi e gli oggetti su cui operiamo. Più di tutto è da coltivare la relazione con gli altri esseri umani: l’incontro è possibile solo valorizzando la profondità dell’altro.”
Salvatore Natoli – collage di interviste
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