Da tempo volevo lasciare il mio pensiero su alcuni aspetti legati alla pandemia ma anche ora riesco solo a restituire impressioni appena abbozzate.
Come quella che ho avuto ieri quando un bambino a scuola mi ha chiesto di fargli “il disegno più difficile che avessi mai fatto” e io ho disegnato il suo ritratto: non vedo il suo volto per intero da due anni. Due anni passati a indovinare dalla pronuncia delle sue parole quanti denti gli fossero caduti, dal tono della sua voce se dietro la mascherina stesse sorridendo. Due anni di: parla più forte che non ti sento! Stai lontano dai tuoi compagni! Corri a lavarti le mani!
O quella che mi assale quando leggendo meme sui NoVax penso ai racconti di angoscia di persone che ho in carico, che hanno avuto paura di vaccinarsi ed ora sperimentano la gogna mediatica, l’isolamento sociale e la discriminazione. E a quella che sperimento io stessa, scrivendo queste parole sapendo che saranno impopolari, perché in questo momento non c’è categoria sociale più degradata e degradabile di chi ha scelto, per un motivo o per l’altro, di non vaccinarsi.
Ma il mandato della psicologia è la comprensione dell’altro anche laddove diversə da sè o dalla maggioranza, pertanto ciò vedo attorno a me mi inquieta anche se non mi riguarda, e anche se comprendo esattamente allo stesso modo il terrore di chi, al contrario, nel vaccino vede una possibilità di salute per sé e per i propri cari, soprattutto se fragili.
Penso che la paura ci renda vulnerabili all’odio ed è questo che temo molto più di tante altre implicazioni.
Non sono moltə ə colleghə che hanno dato risonanza al fatto che la psicologia, essendo annoverata fra le professioni sanitarie, ha richiesto l’obbligo vaccinale per tuttə gli iscrittə all’Albo. Non sono molte le persone che sanno che ciò ha comportato la sospensione per tuttə ə colleghi che, anche per motivi di salute, non hanno fatto il vaccino. Questə colleghə hanno perso il lavoro, compresa la possibilità di esercitare la professione online, e di continuare a prestare ascolto e supporto ai propri pazienti, nel silenzio generale. Nessuno ne parla.
La Psychè era per gli antichi greci il “respiro dell’anima”: a volte penso che questo nostro respiro collettivo si stia perdendo nella pandemia.
Il “bonus psicologo” non avrebbe risolto il problema dell’accesso alla psicoterapia per le tantissime persone che non possono sostenerne i costi ma sarebbe stato quantomeno un gesto simbolico da parte delle istituzioni, un piccolo cenno d’aver almeno un po’ compreso la portata del Covid al di là della capienza delle terapie intensive e dell’economia, un modesto segno di riconoscimento che forse avrebbe, una volta tanto, contributo a colmare quell’abisso che sempre più le persone sentono non solo le une dalle altre ma anche tra loro e le istituzioni.
Abbiamo perso anche questa occasione ma continuiamo a respirare.
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